LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/II - 28 giugno 2010)
LA TESTIMONIANZA (1) – - Claudio Tridici, presidente dell’Associazione aderente a Confartigianato
I panificatori si assolvono: “Troppi passaggi di mano”
“Il prezzo pagato ai contadini è ridicolo, ma i panificatori non lucrano a danno dei produttori di grano duro”. E’ questa l’opinione di Claudio Tridici, presidente dell’Associazione panificatori salentini della Confartigianato, il quale, prendendo atto della situazione di grave crisi del settore, ritiene i panifici salentini e pugliesi completamente estranei alle eventuali speculazioni di mercato.
“Per noi – spiega Tridici – l’incidenza del costo della materia prima sul prezzo del pane è minima. Bisogna tener presente, infatti, che dal chicco di grano al prodotto finito ci sono diversi passaggi. Dal campo, il prodotto passa agli intermediari, poi viene venduto ai molini che lo trasformano in farina; quest’ultima, tramite un rappresentante, viene acquistata dai panifici e dalle panetterie che la lavorano, attraverso l’impiego di mano d’opera notturna, e la trasformano in pane. Ecco perché, alla fine, il pane comune costa a 200-250 euro al quintale”
Secondo i dati forniti da Tridici, la Puglia sarebbe una delle regioni con il prezzo del pane fra i più bassi d’Italia.Gli esempi: in Emilia Romagna, in Lombardia o in Piemonte il prezzo medio del pane comune si aggirerebbe intorno ai 4 euro. “Forse è lì – sostiene - che qualcuno lucra, ma non in Puglia, in Calabria o in Sicilia”.
“Il prezzo delle farine destinate alla produzione di un buon pane artigianale – aggiunge - varia da 35 a 60 euro a quintale. Si tratta di farine che hanno soltanto il 10 per cento di prodotto nazionale, tutto il resto è ricavato da grani esteri pregiati (austriaco, australiano, francese e canadese)”.
Anche in provincia di Lecce, dunque, si consuma normalmente pane con un’alta percentuale di materia prima ottenuta da grano straniero.
“Il prodotto estero – aggiunge Tridici – alza il livello qualitativo della farina perché ha caratteristiche superiori a quella italiana. Per risolvere il problema che attanaglia i produttori locali si dovrebbe puntare ad una politica di qualità del grano, ad una maggiore remunerazione, alla sensibilizzazione in materia di filiera corta al fine di lavorare solo materie prime locali, senza dimenticare di incrementare gli aiuti e le integrazioni a beneficio degli agricoltori”. (r.f.)
Articolo pubblicato nell’ambito del servizio sulla crisi del gravo (vedi altri articoli del 28-6-10)
“Per noi – spiega Tridici – l’incidenza del costo della materia prima sul prezzo del pane è minima. Bisogna tener presente, infatti, che dal chicco di grano al prodotto finito ci sono diversi passaggi. Dal campo, il prodotto passa agli intermediari, poi viene venduto ai molini che lo trasformano in farina; quest’ultima, tramite un rappresentante, viene acquistata dai panifici e dalle panetterie che la lavorano, attraverso l’impiego di mano d’opera notturna, e la trasformano in pane. Ecco perché, alla fine, il pane comune costa a 200-250 euro al quintale”
Secondo i dati forniti da Tridici, la Puglia sarebbe una delle regioni con il prezzo del pane fra i più bassi d’Italia.Gli esempi: in Emilia Romagna, in Lombardia o in Piemonte il prezzo medio del pane comune si aggirerebbe intorno ai 4 euro. “Forse è lì – sostiene - che qualcuno lucra, ma non in Puglia, in Calabria o in Sicilia”.
“Il prezzo delle farine destinate alla produzione di un buon pane artigianale – aggiunge - varia da 35 a 60 euro a quintale. Si tratta di farine che hanno soltanto il 10 per cento di prodotto nazionale, tutto il resto è ricavato da grani esteri pregiati (austriaco, australiano, francese e canadese)”.
Anche in provincia di Lecce, dunque, si consuma normalmente pane con un’alta percentuale di materia prima ottenuta da grano straniero.
“Il prodotto estero – aggiunge Tridici – alza il livello qualitativo della farina perché ha caratteristiche superiori a quella italiana. Per risolvere il problema che attanaglia i produttori locali si dovrebbe puntare ad una politica di qualità del grano, ad una maggiore remunerazione, alla sensibilizzazione in materia di filiera corta al fine di lavorare solo materie prime locali, senza dimenticare di incrementare gli aiuti e le integrazioni a beneficio degli agricoltori”. (r.f.)
Articolo pubblicato nell’ambito del servizio sulla crisi del gravo (vedi altri articoli del 28-6-10)