LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/II - 28 giugno 2010)
ECONOMIA – Campagne in allarme
In vertiginosa caduta il prezzo del grano, produttori in ginocchio
IL TRACOLLO – I grossisti foggiani, baresi e campani comprano a 14 euro il quintale, praticamente agli stessi livelli di sei anni fa
SISTEMA IN TILT - Ricavi azzerati mentre aumentano tutti i costi di produzione
Crolla il prezzo del grano. E i coltivatori lanciano l’allarme: “Siamo al collasso. Così non possiamo andare avanti. Dalla prossima stagione saremo costretti a rinunciare alla semina”. Dopo la perdita completa della coltivazione di tabacco, dal panorama agricolo salentino potrebbe presto scomparire anche la tradizionale produzione di grano duro. Ad operazioni di mietitura ormai avviate, il dato inequivocabile che emerge è drammatico: con i ricavi complessivi ottenuti dalla vendita del prodotto e dall’integrazione assicurata dagli aiuti comunitari, i contadini non riusciranno a coprire nemmeno le spese sostenute. I compratori, prevalentemente grossisti del barese, del foggiano e del napoletano, sono disponibili a pagare “alla trebbia” non più di 14 euro a quintale. Prezzi davvero assurdi, decisamente in caduta libera e in tendenza opposta rispetto ai costi produttivi, contributivi e burocratici che senza sosta continuano a lievitare (quest’anno si calcola siano aumentati del 30 per cento). Per avere un’idea della situazione di quasi tracollo, è sufficiente ricordare che nel 1990 il grano duro veniva pagato a 50mila lire (25,82 euro) al quintale.
“Il problema è molto serio – dice Giovanni Palumbo, produttore e mietitrebbiatore di Caprarica di Lecce – con il grano a 14 euro non si può sopravvivere. Nei nostri campi produciamo massimo 15 quintali per ettaro e otteniamo una parziale integrazione europea. Poi invece abbiamo i costi: dobbiamo pagare il seme, almeno tre arature, la trebbiatura e il concime. A conti fatti quest’anno perderemo non meno di 300 euro a ettaro. Quello che vedo strano è che andiamo a comprare il concime e troviamo aumenti, andiamo a pagare l’aratura e troviamo aumenti, andiamo ad acquistare il seme e troviamo aumenti. Aumenta tutto. Andiamo poi a vendere il nostro prodotto e ce lo pagano di meno. Come mai? Perché non c’è nessun politico, di qualsiasi corrente, che si interessa dei nostri problemi? Quest’anno sono rimasti abbandonati molti campi e, se non cambierà qualcosa, l’anno prossimo potrebbero essere ancora di più. Andrà a finire che produrremo solo per il fabbisogno familiare. E questo sarà un peccato, perché il grano del basso Salento è il migliore del mondo”.
Secondo dati disponibili, ci sono stati anni in cui il grano è stato pagato anche a più di 30 euro al quintale; negli ultimi tempi, invece, il prezzo è drasticamente diminuito.
Nel 2008, in particolare, il prezzo era di 33 euro, nel 2009 di 23. Rispetto al prezzo di due anni fa, dunque, nella stagione in corso si sta registrando una riduzione pari al 60%. Le quotazioni attuali, in pratica, sono ritornate a quelle di sei anni fa.
A questo bisogna aggiungere il fatto che vi è stata l’introduzione di una nuova modalità di calcolo e concessione degli aiuti comunitari che, di fatto, ha ulteriormente penalizzato i produttori.
“Quando arrivano i compratori - aggiunge il produttore Giuseppe De Pascalis, titolare dell’azienda “Masseria Fatalò” di Lizzanello - ci troviamo di fronte a prendere o lasciare. Per loro non c’è il problema di trovare sul mercato prodotto a prezzi stracciati. In Italia arriva grano da tutto il mondo: dalla Cina, dall’India e così via. Lì non hanno problemi di controlli Asl, di previdenza sociale del personale e di sindacati. Producono e basta. Ed è per questo che il loro grano arriva sul mercato nazionale con un prezzo addirittura inferiore ai 10 euro al quintale. Davanti a questa situazione avviene poi qualcosa di inspiegabile. Come mai il nostro grano viene pagato a 14 euro e poi siamo costretti a comprare il pane a 250-300 euro al quintale? Quando il grano viene trasformato in farina c’è circa il 20 per cento di prodotto che si perde. Con un quintale di farina, però, si fa più di un quintale di pane. Se il pane costa fino a 300 euro e la farina appena a 20, c’è una differenza spaventosa. Qui abbiamo gente che lucra a dismisura. Lucra il grossista, ma anche il trasformatore finale. Ci hanno fatto togliere prima la produzione di tabacco, poi hanno incentivato l’estirpazione dei vigneti, ora rischiamo di perdere anche il grano. Andrà a finire che chiuderemo completamente. I politici non devono più essere sordi rispetto a questi gravi problemi. Soprattutto la Regione – conclude – dovrebbe promuovere incontri con gli agricoltori al fine di costituire un coordinamento per affrontare i problemi”.
“Il problema è molto serio – dice Giovanni Palumbo, produttore e mietitrebbiatore di Caprarica di Lecce – con il grano a 14 euro non si può sopravvivere. Nei nostri campi produciamo massimo 15 quintali per ettaro e otteniamo una parziale integrazione europea. Poi invece abbiamo i costi: dobbiamo pagare il seme, almeno tre arature, la trebbiatura e il concime. A conti fatti quest’anno perderemo non meno di 300 euro a ettaro. Quello che vedo strano è che andiamo a comprare il concime e troviamo aumenti, andiamo a pagare l’aratura e troviamo aumenti, andiamo ad acquistare il seme e troviamo aumenti. Aumenta tutto. Andiamo poi a vendere il nostro prodotto e ce lo pagano di meno. Come mai? Perché non c’è nessun politico, di qualsiasi corrente, che si interessa dei nostri problemi? Quest’anno sono rimasti abbandonati molti campi e, se non cambierà qualcosa, l’anno prossimo potrebbero essere ancora di più. Andrà a finire che produrremo solo per il fabbisogno familiare. E questo sarà un peccato, perché il grano del basso Salento è il migliore del mondo”.
Secondo dati disponibili, ci sono stati anni in cui il grano è stato pagato anche a più di 30 euro al quintale; negli ultimi tempi, invece, il prezzo è drasticamente diminuito.
Nel 2008, in particolare, il prezzo era di 33 euro, nel 2009 di 23. Rispetto al prezzo di due anni fa, dunque, nella stagione in corso si sta registrando una riduzione pari al 60%. Le quotazioni attuali, in pratica, sono ritornate a quelle di sei anni fa.
A questo bisogna aggiungere il fatto che vi è stata l’introduzione di una nuova modalità di calcolo e concessione degli aiuti comunitari che, di fatto, ha ulteriormente penalizzato i produttori.
“Quando arrivano i compratori - aggiunge il produttore Giuseppe De Pascalis, titolare dell’azienda “Masseria Fatalò” di Lizzanello - ci troviamo di fronte a prendere o lasciare. Per loro non c’è il problema di trovare sul mercato prodotto a prezzi stracciati. In Italia arriva grano da tutto il mondo: dalla Cina, dall’India e così via. Lì non hanno problemi di controlli Asl, di previdenza sociale del personale e di sindacati. Producono e basta. Ed è per questo che il loro grano arriva sul mercato nazionale con un prezzo addirittura inferiore ai 10 euro al quintale. Davanti a questa situazione avviene poi qualcosa di inspiegabile. Come mai il nostro grano viene pagato a 14 euro e poi siamo costretti a comprare il pane a 250-300 euro al quintale? Quando il grano viene trasformato in farina c’è circa il 20 per cento di prodotto che si perde. Con un quintale di farina, però, si fa più di un quintale di pane. Se il pane costa fino a 300 euro e la farina appena a 20, c’è una differenza spaventosa. Qui abbiamo gente che lucra a dismisura. Lucra il grossista, ma anche il trasformatore finale. Ci hanno fatto togliere prima la produzione di tabacco, poi hanno incentivato l’estirpazione dei vigneti, ora rischiamo di perdere anche il grano. Andrà a finire che chiuderemo completamente. I politici non devono più essere sordi rispetto a questi gravi problemi. Soprattutto la Regione – conclude – dovrebbe promuovere incontri con gli agricoltori al fine di costituire un coordinamento per affrontare i problemi”.
Rosario Faggiano