IL CORRIERE VINICOLO (pag. 5 versione cartacea – 7 ottobre 2013)

La ricetta del successo di una delle realtà più grandi del Sud Italia. Puntare sull’imbottigliamento e credere nell’unione con altre realtà del territorio, attraverso fusioni per incorporazione, per aumentare la capacità competitiva. Soprattutto, investire in innovazione tecnologica senza dimenticare la tradizione produttiva

La cooperazione come modello di sviluppo

CELLINO SAN MARCO (Brindisi) – Milleduecento soci, 2mila e 500 ettari di superficie vitata, 250mila quintali di uva lavorata, 190mila ettolitri di vino prodotto, nove milioni di bottiglie vendute nell’ultimo anno, circa 30milioni di euro di fatturato, sessanta dipendenti. Sono questi i “numeri” di Cantine Due Palme, un esempio di cooperativa in costante crescita, operante nel centro del Salento, fra le province di Lecce, Brindisi e Taranto, nelle aree di produzione delle dop Salice Salentino, Squinzano, Brindisi e Primitivo di Manduria.

Nata nel 1989 da una coraggiosa idea dell’enologo Angelo Maci, imprenditore vinicolo di terza generazione, in breve tempo le scelte che la nuova realtà organizzativa e produttiva ha messo in campo si sono imposte a livello nazionale ed internazionale.

In un momento particolare per il settore, mentre gran parte della cooperazione vinicola salentina era in affanno e il processo di estirpazione massiccia dei vigneti storici non dava certezze per il futuro vitivincolo, Maci e un manipolo di altri viticoltori locali, prestando garanzie personali ed ipotecarie, decisero di andare controtendenza e di intraprendere la nuova avventura, fiduciosi di poter vincere la sfida grazie all’entusiasmo e alla competenza che li caratterizzava, ma anche grazie alla convinzione di poter raggiungere risultati ambiziosi lavorando con impegno, passione, abnegazione e professionalità.

Oggi Due Palme, guidata ininterrottamente da Maci, è diventata la più importante cooperativa del territorio e fra le più grandi del Sud d’Italia. I suoi prodotti imbottigliati - di media, alta e altissima gamma - per l’80 per cento sono esportati in Europa, ma anche nei maggiori mercati asiatici ed americani (Russia, Stati Uniti, Giappone, Canada, Cina, Corea del Sud e altri Paesi).

Presidente Maci, qual è la ricetta vincente di Due Palme?

La risposta immediata sarebbe quella più fredda, ma reale, ovvero la scelta di gestire la cooperativa come se fosse un’azienda privata, mettendo a disposizione, oltre che la cantina in parte eredità di mio nonno, la personale esperienza e competenza di enologo e di imprenditore del settore. Un altro fattore che ha contribuito al successo del progetto è stato quello di aver creduto nella fusione per incorporazione di altre consorelle presenti nell’area, al fine di realizzare una grande e moderna cooperativa, competitiva non solo per potenziale produttivo, ma anche e soprattutto per capacità di immettere sui mercati etichette di prestigio. Importanti sono stati pure i cospicui investimenti in tecnologie avanzate, effettuati per consentire una necessaria e continua innovazione, nonché gli importanti supporti garantiti da collaboratori tecnicamente preparati e validi. La Due Palme mi ha permesso di realizzare un sogno, ma io sono riuscito a ricambiare, donando ai nostri soci una dignità perduta. In un contesto difficile di crisi, mentre molti altri rinunciavano alla sfida, ho provato a trasmettere le mie idee proponendo un’unione tra viticoltori per il raggiungimento di grandi obiettivi. Ecco dunque l’idea: la cooperazione come modello di sviluppo capace di racchiudere ed esprimere una grande forza. E ben presto i risultati sono arrivati.

Quali sono stati i momenti di svolta della sua Cooperativa?

All’inizio, quando siamo riusciti ad ottenere i primi grandi vini, spesso associandoli al sapore della terra, qualcuno stentava a credere che fossimo noi a produrli, tanto erano simili per qualità ad importanti prodotti di altre regioni d’Italia. E’ stato quello il primo segnale che ci ha fatto capire che avevamo imboccato la strada giusta. Dapprima abbiamo venduto il vino solo in cisterne poi, dal 1995, abbiamo deciso di puntare sul prodotto imbottigliato da destinare soprattutto all’estero, in particolare ai mercati dei grandi Paesi orientali. In quegli anni sono iniziate le nostre partecipazioni alle grandi fiere internazionali. Finalmente, nel 1996, Due Palme è sbarcata a Tokyo. Cominciammo a vendere incrementando l’imbottigliato del 20% annuo. Nel 2000 avevamo raggiunto già il primo milione di bottiglie. Contestualmente, a partire dal 1998, dopo appena 10 anni dalla nascita della cooperativa e dai primi investimenti, proprio grazie alla vendita dell’imbottigliato all’estero, si cominciava a registrare un aumento delle liquidazioni delle uve dei soci pari al 40%. Il primo momento di svolta, dunque, è stato l’imbottigliamento del vino. Il secondo momento è stato per noi quello più importante quando, agli inizi del 2000, abbiamo intuito che per essere più forti nei mercati dovevamo unirci con altre realtà cooperative del territorio. Abbiamo iniziato, dunque, a portare avanti la nostra idea di mettere assieme le cantine cooperative disponibili, mediante fusione per incorporazione. La prima concretizzazione del progetto avvenne nel 2005 quando, dopo un lungo iter burocratico, Due Palme ha completato il processo di incorporazione della storica Cantina della Riforma Fondiaria di Cellino San Marco, fondata nel 1955, acquisendo patrimonio e 400 soci conferitori di circa 40mila quintali di uva. Successivamente, nel 2008, abbiamo incorporato la Cooperativa Agricola Angelini di San Pietro Vernotico con 100 soci e 150 ettari e infine, nel 2012, la Cantina Cooperativa San Gaetano di Lizzano, in provincia di Taranto, con un patrimonio di 200 soci e 200 ettari circa.


Diverse cooperative del Salento, nonostante siano in difficoltà, continuano ad operare in solitudine. Come considera la scelta?

Considero la scelta di operare in solitudine molto infelice. Il grande disagio di queste cooperative si basa su due fattori di rilevante importanza.
Il primo è quello che i loro soci, demotivati, hanno estirpato diversi vigneti e di conseguenza non hanno garantito nel tempo il quantitativo minimo di uve tale da far sopravvivere la cantina; il secondo fattore è dovuto alla scarsa penetrazione commerciale del loro vino imbottigliato che avrebbe apportato un notevole valore aggiunto al bilancio della cooperativa. Il mio punto di vista, condiviso più volte con le consorelle, è quello della necessità dell’unione per incrementare e migliorare i potenziali produttivi aziendali, abbattendo i costi di gestione ormai insostenibili singolarmente e, soprattutto, effettuando gli investimenti necessari per mantenersi competitivi.

Vino e territorio. Un binomio irrinunciabile?

Fin dall’inizio abbiamo scelto di rimanere ancorati al territorio e di non rinunciare alla nostra storia. Ma solo con la tradizione, che è un grande patrimonio, non si va avanti. L’innovazione, dunque, è fattore importante di crescita, anche se è necessario perseguirla senza mai rinunciare alle peculiarità che distinguono e rendono unica la nostra area. Il successo di Due Palme è dovuto anche al fatto di aver saputo offrire un prodotto molto vicino ai gusti dei consumatori. E questo è stato possibile grazie alla ricerca e all’impiego della tecnologia che hanno consentito di ottenere risultati ottimali, pur rimanendo nella tradizione produttiva. La tradizione, insomma, deve obbligatoriamente rinnovarsi per poter essere competitiva sul mercato. I nostri vitigni autoctoni storici, Negroamaro, Primitivo, Susumaniello, Malvasia nera e Fiano, insieme alla particolare tipologia di allevamento nota come “Alberello pugliese”, fino a qualche anno fa erano illustri sconosciuti. Noi abbiamo puntato proprio su queste varietà e sulla produzione di grandi vini ottenuti da uve provenienti dall’Alberello. Oggi Negroamaro e Primitivo sono molto richiesti. Due Palme, assieme agli altri produttori dell’area, ha fatto il miracolo di far conoscere nel mondo due grandi vitigni. In questi anni abbiamo fatto molta promozione e marketing, dando il giusto risalto alla qualità di prodotti eccezionali, tipici del nostro territorio, che non hanno nulla da invidiare a quelli di altre Regioni del Nord e del Centro Italia, da più tempo presenti nei mercati. Era quello che ci mancava. Grazie alla promozione e al marketing i nostri prodotti sono ora conosciuti e apprezzati, anche sotto l’aspetto dell’ottimo rapporto qualità-prezzo.

Quali sono stati gli investimenti più importanti fatti recentemente?

Negli ultimi anni siamo stati impegnati in un costante processo di ammodernamento tecnologico e di adeguamento delle attrezzature enologiche finalizzato al miglioramento e all’innalzamento degli standard qualitativi dei prodotti trasformati, per rispondere sempre meglio alle esigenze dei mercati. Il tutto nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza. Abbiamo raggiunto un livello d’avanguardia come pochi altri in Italia. A partire dal 2000, gli investimenti complessivi sono stati di circa 20 milioni di euro. Nel triennio appena trascorso, in particolare, nella Cantina madre di Cellino San Marco, che interessa una superficie complessiva, fra coperto e scoperto, di circa 45mila metri quadri, abbiamo speso 5milioni di euro per la realizzazione della nuova bottaia interrata di 2mila metri quadri e per la sopraelevazione di un magazzino di pari superficie. Per un importo complessivo di 2milioni e 200mila euro, inoltre, abbiamo acquistato vinificatori e presse di altissima tecnologia, nonché un secondo nuovo impianto di imbottigliamento che ci ha consentito di elevare la capacità di lavorazione da 5mila a 11mila bottiglie a ora. Con altri 800mila euro, infine, abbiamo acquistato le barrique necessarie per la nuova bottaia. Molto abbiamo speso anche per la formazione del personale.


Progetti per il futuro?

Nell’ultimo periodo abbiamo investito parecchio ed ora vorremmo un periodo di assestamento. L’unico importante progetto che abbiamo in cantiere riguarda il recupero e la valorizzazione dell’ex stabilimento vinicolo Angelini che, con un investimento di 3milioni e 500mila euro, sarà adibito a Wine resort (vedi box a parte).

E i prossimi obiettivi aziendali?

Abbiamo avuto, per il prodotto confezionato, un incremento del fatturato pari al 16% rispetto all’anno precedente e una produzione intorno ai 9 milioni di bottiglie, con un trend crescente, pari al 9%. Il nostro obiettivo è di raggiungere 15 milioni di bottiglie entro i prossimi 3 anni. A trainare l’export sono stati principalmente i Paesi comunitari, ma anche quelli emergenti asiatici e americani. All’imbottigliamento viene destinato circa il 60% del prodotto, il rimanente 40% viene venduto sfuso quasi esclusivamente in Italia.

Quali sono i vostri maggiori canali di vendita?

Principalmente vendiamo attraverso grossisti (74,99%), HoReCa (15%), punti vendita aziendali (5%) e negozi tradizionali (3,58%,). Qualcosa vendiamo anche con l’e-commerce. Negli ultimi anni, peraltro, abbiamo creato, forse unici in Italia del settore, ben 26 punti vendita in franchising dislocati nei maggiori centri delle province di Brindisi, Lecce, Bari e Taranto, nonché altri 2 a Bologna e a Milano. In Italia, inoltre, abbiamo stretto importanti nuove alleanze con la grande distribuzione organizzata (Esselunga, Auchan e Gigante), che hanno contribuito alla crescita del fatturato in Italia del 20%.


Com’è svolto il “ruolo guida” della cooperativa e come viene garantito il coinvolgimento dei soci?

Cerchiamo di mantenere il contatto costante con tutti i soci attraverso riunioni settimanali nella nostra sala convegni “Selva rossa”, una moderna struttura con capacità di 800 posti a sedere. Durante tutto l’anno la partecipazione dei soci, che si sentono parte integrante del sistema produttivo, è sempre molto numerosa. Discutiamo di tutto: di strategie di difesa della vite, dei momenti ideali di raccolta definiti attraverso l’analisi di migliaia di campioni, dell’andamento dei mercati e di tanti altri argomenti. I viticoltori che non possono partecipare alle riunioni vengono informati costantemente con sms contenenti avvisi, direttive riguardanti la conduzione dei vigneti e le fasi critiche di interventi fitosanitari, appuntamenti da rispettare. Abbiamo cercato di costruire un sistema cooperativo dinamico ed entusiasmante, con un apparato tecnico che impone scelte come nel privato, ma che alla fine garantisce il giusto tornaconto economico. Non si tratta di scelte frutto dell’estro, ma consequenziali ad attività di ricerca scientifica attuata in partnership con Enti specializzati e Università. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti progetti con l'Università del Salento, il Cnr, l'Istituto agronomico meridionale di Valenzano, il Distretto agroalimentare regionale (D.A.Re.) e l’Università di Bari. Abbiamo investito un milione di euro per messa a punto e trasferimento di metodologie per il controllo dello stato sanitario della cantina, per il miglioramento della stabilità microbiologica delle produzioni, per la messa a punto di un disciplinare di valutazione della qualità delle uve in fase di conferimento, per migliorare la qualità dei vini prodotti utilizzando lieviti autoctoni selezionati. Siamo in dirittura d’arrivo in un progetto sulla caratterizzazione dei vini ottenuti a partire da varietà autoctone salentine per la componente polifenolica ad azione salutistica.

L’eccessivo frazionamento della proprietà nel Salento comincia ad essere ridimensionato. L’inversione di tendenza in atto è positiva o negativa?

Il frazionamento della proprietà sino a qualche anno fa era un patrimonio per le cooperative perché il piccolo produttore, che aveva uno-tre ettari di terreno, spesso ottenuto con la Riforma Fondiaria, traeva da lì la propria sussistenza e quella della sua famiglia. Coltivava la campagna come un giardino, con la massima cura e attenzione. Oggi, a causa dell’invecchiamento della popolazione dedita all’agricoltura e della scarsa disponibilità dei giovani a divenire contadini, queste proprietà vengono abbandonate. Ormai vi è in atto un processo di riaggregazione o di diverso utilizzo, magari destinando le aree a parco fotovoltaico o eolico. Per noi, che abbiamo 1200 soci ancora molto motivati, il fenomeno non esiste. Ma ci poniamo il problema per il futuro, fra 10-15 anni, quando la gran parte della massa sociale invecchierà e si renderà necessario intervenire per non disperdere il nostro patrimonio. Credo che il Consiglio di Due Palme dovrà pensare ad una soluzione per mantenere al suo interno i vigneti pregiati. Potrebbe, ad esempio, creare una società cooperativa all’interno della cooperativa principale, con l’obiettivo di rilevare o condurre direttamente i terreni, studiando eventualmente anche forme di incentivi e di gratificazioni per riavvicinare i giovani alla terra.
Rosario Faggiano