LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/XI – 25 gennaio 2012)

GUAGNANO – Un parente racconta la difficile situazione familiare e il desiderio di Giovanni di lasciare casa

“Voleva andare via, non ha fatto in tempo”

GUAGNANO – “Giovanni si sentiva scoppiare. Voleva cambiare, voleva dare una svolta alla sua esistenza, voleva andare via, voleva la libertà. Era un suo diritto sognare una vita felice. Invece è morto, stroncato dalla mano di suo padre. Una tragedia immane, incredibile, assurda. Ancora stento a credere che sia realmente accaduta”. A parlare è una persona molto vicina alla famiglia Caretto, un parente stretto che vuole mantenere l’anonimato. Giovanni, 33 anni, era un grande lavoratore, apprezzato da tutti per l’educazione, la cordialità e la disponibilità. Ultimamente era diventato molto nervoso, non sopportava più la sua difficile situazione familiare, aggravata dal padre sempre più irascibile a causa dell’alcol. Aveva un solo desiderio: andare via da casa per costruirsi una nuova esistenza.
“La sua aspirazione – dice il parente – era quella di fare il camionista e di andare in giro per l’Italia e per l’Europa. Non ce la faceva più a vivere a Guagnano. E per questo era pronto a lasciare il suo lavoro presso la multisala “The space cinema” di Surbo. Voleva allontanarsi dal paese perché non era mai uscito da casa. Lavorava sempre e tutti lo chiamavano perché era bravo. La vita con lui è stata ingiusta”.
La sera della tragedia, per l’ennesima volta Giovanni aveva sentito urlare il padre contro la madre Anna Martena, originaria di San Pietro Vernotico, di 68 anni, sofferente. Come ormai spesso accadeva, il padre era ubriaco. Erano circa le 23, sua sorella Marirosa, disabile dalla nascita, 36 anni, era a letto. Lui era entrato nella stanza dei genitori cercando di far calmare il padre: “Ti vuoi stare zitto? – dice – Marirosa non sta bene e sta dormendo”.
Pochi secondi dopo il gesto folle del padre, ormai improvvisamente trasformato in demonio, sotto i fumi dell’alcol.
“L’altra sera – aggiunge il parente – per quello che ha fatto, avrei ucciso Enzo con le mie mani. Ma oggi penso a quella che è stata la sua vita. E’ vissuto in una famiglia con genitori separati e, dunque, senza la presenza del padre, anch’egli con problemi di alcol. Da ragazzo ha sofferto molto per questo. Durante la sua esistenza, poi, ha dovuto affrontare da solo, e con un solo stipendio di operaio, tanti sacrifici. Il suo matrimonio non è stato molto felice, con tanti problemi: una moglie sofferente, la figlia disabile e tante altre difficoltà. Lui si rifugiava nell’alcol e quando beveva diventava violento, ma non alzava le mani. Sua figlia non ha mai avuto uno schiaffo da lui. Tante volte si è messo d’impegno per non bere più, anche creandosi interessi fuori dalle mura domestiche. Per un certo periodo ha fatto parte anche del coro della chiesa madre. Ma è stato tutto inutile. Se fosse stato in sé non l’avrebbe mai fatto. Anche se litigavano spesso, adorava il figlio e si preoccupava per lui. In fondo anche Enzo è una vittima. Io spero – conclude - che non faccia qualcosa di brutto contro se stesso”.
Rosario Faggiano

• Articolo pubblicato nell’ambito del servizio sull’omicidio di Giovanni Caretto, ucciso dal padre Vincenzo Caretto la sera del 24 gennaio 2012, nell’abitazione di famiglia a Guagnano, in via Dalla Chiesa.
Vincenzo, 70 anni, ex operaio della Fiat in pensione, è stato arrestato. Ha dichiarato di non essersi reso conto di quello che era successo e, dopo aver acquistato un po’ di lucidità e preso coscienza del folle gesto compiuto, lui stesso ha chiesto di essere portato in carcere.
Ha ucciso il figlio con almeno due fendenti (ha usato un lungo coltello da cucina).
Nel suo sangue, subito dopo l’omicidio, è stato accertato un tasso alcolemico pari a 1,80 (il limite consentito è di 0,50).